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La medicina è amara, ma necessaria

Scritto da Kaspar Villiger | 18.7.2025

La Svizzera oggi vista dell’ex consigliere federale Kaspar Villiger (1989-2003) intervenuto all’assemblea di giugno dei delegati del PLR

È un privilegio dell'età poter abbandonare la camicia di forza della politica quotidiana e potersi così dedicare alle prospettive fondamentali degli avvenimenti. I circa sessant'anni durante i quali ho potuto assumere responsabilità e acquisire esperienza come imprenditore, politico e membro di consigli di amministrazione sono stati segnati da tre epoche: la guerra fredda, la rinascita economica e democratica dopo il crollo dell'Unione Sovietica e ora il brusco disgregarsi di un ordine mondiale.

Dalla guerra fredda alla rinascita economica e sociale

Diciamocelo: vivere dalla parte giusta della cortina di ferro durante la guerra fredda non era poi così male. La minaccia comunista disciplinava l'Occidente libero e, nonostante tutte le differenze, entrambe le parti garantivano una certa stabilità grazie alla parità nucleare, mentre il fallimento evidente dell'economia pianificata nelle e dalle dittature comuniste dimostrava chiaramente la superiorità della democrazia, del libero scambio e dell'economia di mercato. Dopo il crollo dell'Unione Sovietica è iniziata una lunga fase di ripresa: il commercio mondiale fiorì, la prosperità globale aumentò, la povertà estrema e la fame diminuirono, l'aspettativa di vita aumentò, il numero di morti per violenza e guerre si ridusse, fiorirono nuove democrazie. Gli americani si fecero carico, nonostante tutti gli errori commessi, di salvaguardare e far rispettare le regole e i valori necessari a ogni ordine sociale di successo. Per la Svizzera, paese esportatore, si trattava, come ora riconosciamo, di condizioni paradisiache.

La disgregazione dell’ordine mondiale

Tutto questo sta ora bruscamente volgendo al termine. Un asse autocratico e sicuro di sé, guidato dalla Russia e dalla Cina, si dedica con determinazione alla lotta contro il pensiero democratico. Un ordine mondiale sta crollando, il potere sostituisce il diritto e non lontano da noi si combattono nuovamente guerre. Il commercio mondiale basato su regole - la nostra principale fonte di prosperità -sta entrando in una fase di turbolenza. L'invecchiamento demografico sta mettendo sotto pressione i sistemi sociali e la dinamica dell'innovazione nei paesi industrializzati e ricchi come la Svizzera. Il debito globale ha raggiunto livelli storici e minaccia non solo la stabilità dei singoli Stati, ma anche il sistema finanziario globale. La democrazia vacilla in tutto il mondo e ha perso consensi anche nelle democrazie consolidate. Gli Stati Uniti si stanno chiaramente allontanando da un ordine di Stati democratici sovrani che cooperano in una competizione pacifica e si stanno avvicinando a coloro che aspirano a un ordine con una manciata di grandi Stati che controllano imperialisticamente il loro territorio e se ne infischiano della democrazia. Si può discutere se l'Europa, politicamente frammentata, sia in grado di affermarsi in un tale ordine nonostante la sua forza economica. In una situazione globale così complessa, nessuno può prevedere come evolveranno le cose. La storia dimostra che i periodi di disgregazione dell'ordine mondiale sono sempre pericolosi.

La Svizzera che resiste tra protezionismo e indebitamento

La Svizzera, pur nell’attuale contesto turbolento, appare ancora come un'isola felice. Secondo quasi tutti i criteri di successo di uno Stato - prosperità, stabilità, legittimazione democratica, qualità della piazza economica, equilibrio sociale, aspettativa di vita o qualità della vita – la Svizzera si colloca ancora in pole position. Oltre a circostanze fortunate, ciò è dovuto a una cultura politica che coniuga con successo due principi complementari: da un lato quello della libertà con i suoi diritti fondamentali e il suo ordinamento economico ancora relativamente liberale e, dall'altro, il principio cooperativo che, con i suoi valori orientati alla comunità, favorisce la nostra convivenza sociale. Non dimentichiamo però che la Svizzera, con la popolazione di una media città cinese e senza risorse naturali, se dovesse vivere solo del proprio minuscolo mercato sarebbe un Paese povero. Solo l'accesso ai mercati mondiali con prodotti di alta qualità ci ha portato a un benessere ben al di sopra della media. Il nuovo disordine mondiale, tuttavia, renderà difficile mantenere questo benessere.

Il protezionismo in crescita a livello globale e l'assurda politica economica degli Stati Uniti stanno peggiorando notevolmente le condizioni della nostra economia. I mercati finanziari fortemente indebitati aumentano il rischio di una nuova crisi finanziaria. Il pericolo di guerra in Europa è in aumento e la cosiddetta guerra ibrida ci sta già colpendo. Inoltre la Svizzera, a causa del basso tasso di natalità e senza immigrazione, rischierebbe di diventare una nazione di sei milioni di abitanti, dominata da anziani come me. Ciò renderebbe lo Stato sociale completamente insostenibile e la produttività della nostra economia diminuirebbe drasticamente. Senza contare che sono già evidenti i segnali che indicano che la nostra società meritocratica rischia di trasformarsi in una società assistenzialista e, ben lo sappiamo, dove scompaiono le prestazioni, le pretese diventano irrealizzabili.

Tutto ciò crea sfide che la Svizzera non ha più affrontato dai tempi della seconda guerra mondiale. Ho però l'impressione che gran parte della politica non ne sia preoccupata e questo potrebbe ritorcersi contro di noi.

Cinque regole per non soccombere

C’è un modo per non finire travolti? A mio parere esiste una strategia che dovrebbe essere perseguita con coerenza alla luce delle sfide menzionate ed è piuttosto semplice. Si fonda cinque punti chiave:

1. Compensare le difficoltà delle condizioni commerciali mondiali con un miglioramento permanente delle condizioni economiche generali, invece che con il continuo peggioramento causato da nuovi obblighi di rendicontazione, quote, minacce di azioni legali, rigidità del mercato del lavoro, oneri fiscali, aumenti dei contributi sociali e qualsiasi altra misura possa venire in mente ai benintenzionati professionisti.

2. Mantenere la solidità finanziaria dello Stato, perché finanze solide sono la spina dorsale della resilienza di uno Stato in tempi difficili. Solo così lo Stato potrà agire anche in tempi di crisi e solo così potrà essere garantito il margine di manovra delle generazioni future. Ciò è possibile solo se ci limitiamo rigorosamente allo stretto necessario e rinunciamo al «nice-to-have». Sono orgoglioso e grato che la nostra presidente della Confederazione si stia impegnando con determinazione per questa causa. 

3. Garantire l'accesso ai principali mercati di esportazione. Ciò significa innanzitutto garantire l'accesso giuridicamente sicuro al nostro mercato di sbocco più importante, il mercato interno dell'UE con circa 500 milioni di consumatori. Nonostante l'enorme opposizione, Ignazio Cassis ha negoziato una soluzione sostenibile che non solo garantirebbe la certezza del diritto all'economia, ma stabilizzerebbe anche i nostri rapporti con il nostro grande partner, con cui siamo indissolubilmente legati dal punto di vista geografico e geologico. Ciò significa inoltre nuovi accordi di libero scambio (se possibile anche con gli Stati Uniti) che non devono fallire a causa di istinti protezionistici egoistici o di pretese morali irrealistiche nei confronti dei paesi partner. Infine, significa anche la prosecuzione del processo dell'OMC che, nonostante i segni di erosione, continuerà a facilitare gran parte del commercio mondiale.

4. Consentire l'immigrazione di persone con qualifiche necessarie all'economia, senza sovraccaricare la nostra capacità di integrazione, che non è illimitata. Un esercizio di equilibrismo!

5. Ripristinare la capacità di difesa dell'esercito.

Tutto ciò è una medicina amara, ma mai prima d’ora il modello di successo svizzero è stato messo alla prova in modo così severo. A ciò va aggiunto che raramente la Svizzera ha avuto così tante difficoltà a risolvere problemi complessi con compromessi adeguati, sia nella politica sociale, sia in quella della sicurezza: finanziaria, energetica, economica o europea. Eppure la capacità di compromesso è fondamentale in una democrazia diretta. I partiti politici agli estremi hanno scoperto che con strategie di polarizzazione si possono vincere le elezioni. Forse è per questo che si ha l'impressione che siano più interessati alle vittorie elettorali che alle soluzioni. Gli uni celebrano un nuovo tipo di lotta di classe, gli altri costruiscono ora un fossato tra città e campagna, ora uno tra cittadini e stranieri. Sono questi due estremi accomunati dal fatto di saper sempre presentare capri espiatori responsabili di tutti i mali. Ne derivano fronti contrapposti, nemici che si combattono senza alcuno spazio per un dibattito costruttivo. Certo, è più facile guadagnare punti con regali ai propri elettori o con la promessa di facili soluzioni, piuttosto che offrendo una guarigione che passa dall’assunzione di una medicina amara. Ma una politica basata esclusivamente su promesse vaghe, favori non finanziabili e capacità di schivare qualsiasi misura drastica non ha mai portato al successo. A volte, per avere successo, è necessaria una medicina amara. Ludwig Erhard ha realizzato il miracolo economico tedesco con una dolorosa rivoluzione dell'economia di mercato. Leszek Balcerowicz ha ideato quella cura liberale che ha trasformato la poverissima Polonia in un paese emergente e rispettato con un'economia vivace. Gerhard Schröder, con la sua Agenda 2010, che alla fine gli è costata la rielezione, ha trasformato il «malato d'Europa» in un'economia fiorente. Ma proprio la Germania ha dimostrato negli ultimi anni come una politica di compiacenza possa riportare il Paese allo stato di malato. 

Affontare ciò che è necessario, non ciò che è gradito

Le riforme difficili hanno dato i loro frutti anche in Svizzera e, si badi bene, non è stato il “no” allo SEE (Spazio economico europeo) a costituire la base del nostro successo degli ultimi anni, come talvolta sostengono i nostri compagni di lotta della destra borghese. Si è invece trattato essenzialmente di un triplice intervento: 1) il risanamento delle finanze federali attraverso il freno all'indebitamento e tre grandi programmi di sgravio; 2) l'attuazione autonoma di quel rigoroso programma di liberalizzazione che lo SEE ci avrebbe imposto realizzato con un impressionante atto di forza da parte del Parlamento e del Consiglio federale, sulla base della proposta dell'economista sangallese Heinz Hauser; 3) gli accordi bilaterali con l'UE.

Sono quindi lieto che, nonostante le difficoltà, il nostro partito abbia il coraggio di affrontare ciò che è necessario e non ciò che è gradito. Includo espressamente i nostri membri del Consiglio federale con la loro politica finanziaria e di integrazione. Il programma economico che avete approvato oggi ne è un buon esempio. Se attuato integralmente, costituirebbe un pilastro centrale di una strategia volta a garantire il successo futuro della Svizzera. Ciò richiede coraggio e non sarà accolto ovunque con applausi. 

Colgo quindi l'occasione per dire alcune parole su Thierry Burkart, che purtroppo ha annunciato le sue dimissioni da presidente. È troppo presto per elencare tutti i suoi meriti, perché fortunatamente rimarrà con noi come presidente per un importante tratto di strada. Sarò quindi breve. Ha avuto il coraggio di concentrare l'attenzione del partito su ciò che è necessario e non su ciò che è popolare. Ha così restituito grande importanza alla politica liberale, poco amata, ma così importante, e ha avuto il coraggio di individuare e affrontare quei problemi urgenti la cui soluzione difficilmente porta allori. Di questo gli sono sinceramente grato.

Un’economia forte è a vantaggio di tutti

In relazione al vostro programma economico, c'è un altro aspetto che mi sta a cuore. Chi si batte per un'economia forte viene spesso accusato di rappresentare interessi unilaterali a scapito di coloro che forse non se la passano così bene nel Paese. È vero il contrario. Non abbiamo bisogno di condizioni quadro superiori alla media per la nostra economia per consentire a manager incapaci di ottenere bonus elevati e agli speculatori di borsa di acquistare auto di lusso. Ne abbiamo bisogno per creare posti di lavoro il più possibile buoni e ben retribuiti per il maggior numero possibile di persone, per ottenere i mezzi che rendono possibile lo Stato sociale, per finanziare l'istruzione e la ricerca, per garantire la sicurezza di tutti e per soddisfare qualsiasi altra necessità. Quello che un'economia in difficoltà significa - soprattutto per i più deboli della società e per lo Stato in quanto fornitore di prestazioni - lo possiamo vedere ogni giorno in diretta televisiva. Affrontiamo quindi le riforme necessarie per garantire il nostro benessere anche in tempi difficili. 
Sebbene le sfide siano grandi, la situazione di partenza per affrontarle è migliore in Svizzera che in altri paesi europei. La fiducia nella democrazia è ancora forte nel nostro paese, probabilmente perché la democrazia diretta consente un controllo efficace dei governanti da parte del popolo. Da sinistra a destra esiste ancora un ampio patrimonio comune di valori democratici e dello Stato di diritto. Anche se le opinioni divergono, ad esempio, sulla cooperazione internazionale, l'atteggiamento di fondo di tutti i partiti nei confronti del nostro sistema statale è positivo anche se in alcuni settori l'amministrazione è eccessivamente ingombrante e la vostra richiesta di un blocco delle assunzioni è giustificata! Tuttavia, non dimentichiamo che è competente, vicina ai cittadini, poco corrotta e motivata. Il nostro Stato funziona. La sua situazione finanziaria è sana, tranne purtroppo nel settore sociale. Il sistema di formazione duale continua a essere un punto di forza. L'economia è innovativa, strutturalmente solida e competitiva. Nonostante alcune crepe, che purtroppo si stanno allargando, i rating della piazza economica sono ancora molto buoni. Il nostro complesso biotopo politico con democrazia diretta, principio di milizia, federalismo e concordanza consente, rispetto ai sistemi di governo puramente rappresentativi, un rispettabile navigare a vista attraverso paesaggi politici frastagliati. Possiamo farcela se ci svegliamo e ci diamo da fare invece di insultarci a vicenda. Non è una questione di capacità. È una questione di volontà. Di risveglio. 


Jean Pascal Delamuraz, uno dei miei più importanti amici politici, era solito dire: «Les Suisses se lèvent tôt et se réveillent tard» (gli svizzeri si alzano presto e si svegliano tardi). Per restare nella metafora coniata dal vostro presidente, si potrebbe dire: il liberalismo deve e può essere la sveglia!