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Giovanni Leonardi: “Lo scorso inverno il carbone tedesco è stato decisivo”

Il Presidente dell’Azienda elettrica ticinese come guida per capire il complesso contesto energetico in cui ci troviamo. Tra prospettive, prezzi, investimenti e tecnologie.

Negli ultimi mesi, quello dell’energia è stato un vero e proprio rompicapo: prezzi che esplodono, poi scendono, fabbisogno non coperto, “fate la doccia in due”, nucleare, solare, eolico, geotermico,… Se non è una Babele elettrica, poco ci manca. Per tentare di fare un po’ d’ordine in questo settore chiave per le famiglie e l’economia del nostro Paese, Lib- ha chiesto aiuto all’Ingegner Giovanni Leonardi, presidente dell’Azienda Elettrica Ticinese, una società confrontata letteralmente ogni minuto con i cambiamenti in atto e costantemente proiettata a quello che sarà il futuro energetico ticinese e svizzero.

Giovanni Leonardi. Iniziamo dall’attualità ticinese. È di qualche giorno fa la notizia che parte dell’insalata coltivata sul Piano di Magadino rischia di andare al macero. Considerando che per un kg di insalata servono 5 litri d’acqua, da osservatore attento, secondo lei, non si sta sbagliando qualcosa?

Inizio col dirle che non sono un agricoltore (sorride), anche se ho origini contadine … Quel che posso rispondere è che non possiamo influenzare la natura e come produttori di elettricità lo abbiamo sperimentato sulla nostra pelle di recente. Per i coltivatori, l’acqua scesa nei giorni scorsi ha portato ad una sovrapproduzione, mentre a noi la mancanza di precipitazioni dello scorso inverno ci ha messo di fronte alla situazione inversa, ossia una sottoproduzione di energia elettrica. Più in generale, per il contadino o il produttore di energia, si tratta di sviluppare abilità nella gestione del proprio portafoglio di produzione e di quello dei clienti, che deve sempre essere diversificato al fine di mitigare i rischi.

Veniamo ad aspetti più legati alla sua attività: i timori per l’approvvigionamento energetico sembrano passati un po’ in secondo piano. Possiamo stare più tranquilli o arriveranno altre brutte sorprese nei prossimi mesi?

Siamo reduci da un inverno mite, dove i consumi sono stati sotto la media. Anche perché gli appelli alla parsimonia, hanno effettivamente portato ad una certa riduzione dei consumi stessi, in particolare per quel che concerne l’energia termica. Dobbiamo mantenere la guardia alta, perché dopo l’inverno inizia… l’inverno. Voglio dire che la situazione non è migliorata per i mesi freddi e a corto termine rimane decisiva la capacità di approvvigionamento di gas della Germania.

Dovremo ancora importare energia, in prospettiva?

Direi di si. Lo scorso anno, malgrado l’inverno mite, abbiamo importato davvero molta elettricità dalla Germania,  e non solo dalle centrali a gas, ma anche da quelle a carbone che i tedeschi hanno riattivato per far fronte alla situazione di penuria. Nei giorni più freddi dell’inverno scorso, il carbone germanico è stato determinante per l’Europa centrale, Svizzera inclusa. Circa il 20% dell’energia necessaria lo scorso inverno è stata importata. È tantissimo. E dimostra che, se sull’arco dell’anno la Svizzera esporta energia, in inverno la situazione si inverte. È da oltre 20 anni che diventiamo importatori nei mesi freddi. Per essere più precisi, il calcolo in realtà andrebbe fatto sulle 24 ore e non sui 12 mesi.

Entro il 2050 avremo bisogno di molta più energia, secondo le previsioni. Potremo davvero fare a meno dell’energia atomica in Svizzera? Oppure il blocco nei confronti di questa fonte potrebbe portare a problemi (e costarci caro)?

A differenza della Germania, la politica svizzera non ha deciso una data per la chiusura delle centrali nucleari, ma ha scelto di non più rilasciare permessi di costruzione per nuove centrali. Per quelle esistenti, invece, è l’ente di controllo che indica se le condizioni di sicurezza sono date o meno. Se non fosse il caso, la centrale andrebbe chiusa. Analogamente, il proprietario della centrale potrebbe decidere di chiudere i battenti, qualora l’impianto non fosse, ad esempio, più redditizio. La situazione è quindi diversa, ma Svizzera e Germania restano due eccezioni (Italia a parte) nel contesto europeo. Altri Paesi, quelli scandinavi su tutti, hanno riaperto le porte aperte a nuove centrali. La Polonia ha invertito la rotta e la Francia sta costruendo nuovi impianti. Non a caso, la strategia della Confederazione include la possibilità/necessità di basarsi sugli esuberi altrui per colmare il nostro fabbisogno.

Ovviamente al cittadino (e alle aziende) interessa sapere quanto pagherà per l’energia. Cosa ci può dire?

Che i prezzi ben difficilmente potranno tornare al livello di quelli di alcuni anni fa. Direi che possiaamo attenderci a medio termine a tariffe simili a quelle del 2023.

A medio termine il Ticino – per il tramite di AET – gestirà in modo autonomo tutte le proprie risorse idroelettriche. Cosa significa e con quali obiettivi?

Significa che AET diventerà uno dei 4 maggiori attori a livello nazionale nella produzione di elettricità. La decisione della politica in questo senso è stata molto chiara e quindi stiamo orientando la società verso il compito di dover gestire almeno il 10% dell’idroelettrico svizzero all’interno del suo portafoglio. Ma non illudiamoci: il Ticino non sarà autarchico dal profilo dell’energia, perché il sistema è interconnesso. Saremo un attore importante sul piano svizzero, con momenti di surplus e momenti di carenza.

Ci saranno grandi investimenti? Ad esempio, l’ipotesi di trasformare la Verzasca in una centrale di pompaggio-turbinaggio è d’attualità come lo è l’innalzamento del Sambuco?

Lo studio sugli scenari 2050 della Confederazione indica chiaramente che d’estate abbiamo un surplus d’energia, mentre d’inverno manca e, anzi, il “buco” invernale tende a diventare più importante. Di conseguenza la decisione strategica di AET in questo momento è stata quella di concentrarsi sulla capacità di produzione invernale e sull’immagazzinamento. In questo senso, tra poco entrerà in servizio la nuova centrale di pompaggio-turbinaggio del Ritom, che AL 75% è di proprietà delle FFS, ma che fa parte del contesto generale ticinese. Per rispondere sulla Verzasca: in questo momento in prospettiva siamo concentrati su 3 progetti: Sambuco, Sella e Gries. L’innalzamento del Sambuco è il più d’attualità, parliamo di un orizzonte di circa 5 anni e di un investimento superiore ai 100 milioni. Per le ulteriori tappe di sviluppo, l’orizzonte si sposta sui 10-15 anni.

Altra componente della produzione, è l’energia eolica. Come sta andando il parco eolico del San Gottardo? Sta dando i frutti sperati?

Siamo stati confrontati ad un fenomeno meteorologico particolare: in assenza di precipitazioni, anche il vento manca. Ed è quanto successo negli scorsi mesi al Parco eolico del Gottardo. Nonostante ciò, nel 2022 abbiamo prodotto circa il 10% dell’energia eolica totale in Svizzera, anche se questi due anni sono stati più che altro dedicati all’ottimizzazione dell’impianto, che è un esercizio piuttosto complesso, quando si parla di eolico. Più in generale, l’eolico è anche per noi una parte della soluzione, ma non risolve il problema a livello nazionale. Non a caso, l’impostazione strategica della Confederazione parla di 40-45% di idroelettrico, 40-45% di solare e del restante 15% di fonti miste in cui l’eolico è “quantité negligeable”.

Sui tetti ticinesi stanno spuntando come funghi i pannelli fotovoltaici. Come interpreta questo segnale che viene spesso anche dai privati?

Il solare aiuta a ridurre le bollette, è incentivato e quindi piace anche ai privati. Per far fronte alle necessità di produzione invernale, però, non è al momento la soluzione, perché ci sono ancora costi eccessivi per lo stoccaggio. Le batterie, per quanto piuttosto costose, possono essere interessanti per lo stoccaggio giornaliero, eventualmente settimanale o al limite mensile, ma non a lungo termine, sull’arco di sei mesi. Nei periodi di forte produzione a livello internazionale iniziano a manifestarsi
anche alcuni problemi: non siamo che all’inizio della svolta, ma assistiamo già all’apparizione di prezzi negativi e già si parla di sospendere la produzione nelle ore di punta. Senza dimenticare i problemi infrastrutturali e le necessità di potenziamento della rete. L’aumento della produzione solare imporrà ad esempio cavi di trasporto di un diametro di 2 o 3 volte superiore a quelli attuali. Un grosso investimento, a carico soprattutto delle aziende di trasporto distribuzione locali.

La prospettiva, in conclusione, resta complessa, insomma…

Siamo di fronte ad una situazione con meno gas, meno carbone e meno nucleare, ma con un “buco” invernale sempre maggiore e un ammanco sempre più difficile da colmare. Una sfida complessa per tutti.