Skip to content

L’AVS e l’inverosimile pasticcio che ne minaccia il futuro

Quando nel 1948 venne istituita l’AVS, “suo padre”, il Consigliere Federale Walter Stampfli (FDP Soletta), introdusse con grande lungimiranza il fondo di compensazione AVS. Allora come oggi, tale fondo persegue due scopi principali. Il primo, fondamentale, è quello di disporre di un “cuscinetto” di compensazione sufficiente – per legge pari almeno alle uscite di un anno – per far fronte agli sviluppi demografici e a quelli congiunturali (che influenzano le entrate). In sostanza, si voleva dare al legislatore il tempo di apportare tempestivamente e in modo preventivo i correttivi necessari, un meccanismo che ha funzionato per decenni grazie a numerose revisioni.

Il secondo scopo del fondo di compensazione, con un effetto collaterale positivo, era ed è quello di generare redditi attraverso l’investimento dei capitali, con risultati tutt'altro che trascurabili. Per questo motivo, il Fondo è spesso definito il “terzo contribuente”.

Vale la pena ricordare che il Fondo AI fu costituito solo dopo l’accettazione popolare del 2009 con una operazione che possiamo definire di emergenza. Difatti allora l’AI si trascinava un deficit di 16 miliardi e, a parziale riduzione del passivo, 5 miliardi le furono “regalati” dall’AVS. Ancora oggi quest’ultima vanta un credito pari a circa 10 miliardi nei confronti dell’AI.

L’AVS è, da sempre, un contratto intergenerazionale e, ai suoi inizi ancora più di oggi con le nuove forme collettive, rappresentava una risorsa cruciale per le donne non attive professionalmente.

Tuttavia, da ben più di dieci anni, con la “complicità” del Dipartimento Federale degli Interni, del Parlamento, della politica in generale – o meglio dal partitismo portato all’eccesso, a cominciare dalla miope frangia di diverse correnti politiche –, e persino dei cittadini (che, quando chiamati a esprimersi, si sono lasciati “influenzare” dalle confusioni generate dai primi) non solo si è fatto poco, ma si sono creati numerosi e intollerabili pasticci. Intollerabili perché denotano, seppur forse inconsciamente, una totale mancanza di rispetto per le future generazioni e per il futuro stesso dell’AVS. Oggi probabilmente stiamo pagando le conseguenze di visioni miopi e interessi politici a breve termine. Per non parlare dei “necessari” compromessi accettati (ad esempio l’abbinamento AVS con la riforma fiscale delle imprese) invece di una mirata ricerca di consensi a favore di un modello sostenibile e duraturo.

L’evoluzione demografica, infatti, è nota da decenni: oggi si vive in media 15 anni in più rispetto ai tempi del Consigliere Federale Stampfli, 10 anni in più rispetto al 1970 e 4 anni in più rispetto al 2000. In altre parole, dal 1990 il periodo durante il quale si beneficia della pensione AVS è semplicemente raddoppiato e con esso, ovviamente, le uscite. A complicare ulteriormente il quadro, i cosiddetti baby boomer stanno vieppiù infoltendo il numero dei pensionati, mentre il tasso di natalità è negativo da anni.

Chi paga e chi finanzierà le future rendite? Ovviamente gli attivi, e in misura crescente le giovani generazioni. La direzione che prenderà nei prossimi anni il risultato di ripartizione (il saldo tra entrate e uscite), specialmente ora con l'introduzione della 13ma mensilità AVS (che comporterà maggiori uscite a partire da più di 4 miliardi l'anno, destinate a crescere), è un tema dibattuto, con previsioni talvolta discordanti, attualmente oggetto di “cerottate” e non condivise proposte sul come finanziare le maggiori uscite generate dalla 13ma AVS. Sappiamo però che già dal 2026 il risultato di ripartizione dell’AVS tornerà negativo, e si stima un disavanzo di 4 miliardi annui dal 2031, destinato poi ad aumentare.

Nonostante proposte palesemente insufficienti ed interventi frammentari, quasi proforma, nessuno ha mai veramente avuto il coraggio, o la volontà, di affrontare il problema alla radice.

Attualmente, il Fondo di Compensazione dispone di “soli” 43 miliardi di attivi gestiti (altri 10 miliardi a bilancio, infatti, corrispondono al prestito dell'AVS all'AI, fondi difficilmente esigibili). Si tratta di un patrimonio che, di fatto, è già inferiore all'ammontare delle rendite versate annualmente. In assenza di misure correttive incisive, si stima che il patrimonio del fondo potrebbe ridursi attorno al 2034 a un terzo delle rendite annuali, proseguendo poi in una spirale discendente. E in questo contesto non consideriamo nemmeno l’ipotesi legata all’iniziativa popolare “Sì a rendite AVS eque”, per non complicare ulteriormente il quadro.

La combinazione tra l’aumento della longevità e il forte incremento del numero dei pensionati (effetto baby boomer) porterà a un livello di uscite allarmante, se non compensato da nuove importanti entrate. Inoltre anche i redditi derivanti dalla gestione patrimoniale sono destinati a diminuire: se negli ultimi 10 anni hanno generato un rendimento consolidato vicino ai 10 miliardi, tra 6 e 10 anni, a seconda del risultato degli investimenti e considerando un patrimonio dimezzato in assenza di misure correttive, mancherebbero, semplificando, ulteriori 5 miliardi. Una cifra tutt'altro che trascurabile.

Nel 2026 il Consiglio Federale dovrebbe proporre al Parlamento le misure per affrontare le future sfide del finanziamento dell’AVS: vedremo quali saranno e come verranno recepite, anticipando già il probabile emergere di controprogetti, referendum e/o iniziative parallele.

A peggiorare ulteriormente, e non di poco, il quadro, vi è la recente accettazione popolare dell'iniziativa per una 13esima AVS. Il Parlamento, anch'esso corresponsabile di questo esito, non aveva ritenuto opportuno presentare un controprogetto. In uno Stato sociale e solidale come il nostro, sarebbe probabilmente bastato un controprogetto che prevedesse la 13esima AVS solo per i beneficiari di prestazioni complementari, ossia per chi ne ha effettivamente bisogno e merita sostegno, escludendo chi non ne necessita. Un'operazione che sarebbe stata non solo opportuna ma soprattutto finanziariamente senz’altro più sostenibile e non avrebbe inferto quest’ulteriore pesante colpo alla nostra AVS e al suo futuro.

Parallelamente, l'iniziativa dei Giovani Liberali, seppur intelligente, mirava ad innalzare l'età di pensionamento a 66 anni. Purtroppo, non essendo stata inserita in un contesto organico e coordinato dalla politica, è stata respinta alle urne. Questa iniziativa ha, di fatto, “bruciato” proposte con obiettivi analoghi, almeno per il momento.

Per inciso, e per completare la presente analisi, ricordiamo anche il recente innalzamento dell’età del pensionamento legale per le donne, passato alle urne per il rotto della cuffia.

Scelta condivisibile nel contesto della parità di trattamento e della maggiore longevità delle donne, discutibile invece se si considera che questa “parità” è lungi dall’essere stata raggiunta sul fronte del trattamento salariale. Non dimentichiamo che senza l’esito positivo di questa difficile votazione la situazione del Fondo sarebbe ancor peggiore. Il punto è – se non vogliamo confondere “parità” con la sostenibilità del futuro dell’AVS- che tutto questo rientra nella disordinata gestione delle iniziative, della non gestione politica e non attenzione al nostro primo pilastro, generando un inverosimile pasticcio.

 Concludendo possiamo sicuramente dire che senza importanti modifiche e correttivi all'attuale assetto il Fondo di Compensazione si svuoterà entro il 2034-2037, periodo che coinciderà con il picco della curva demografica degli anziani. Successivamente, l'impatto della generazione dei baby boomer inizierà a diminuire.

Ci si domanda giustamente quali correttivi adottare quindi. Un aumento significativo dei contributi a carico della popolazione attiva e dei datori di lavoro? Soluzioni miste, che combinino l'aumento dei contributi con un incremento dell'IVA, gravando comunque principalmente sulla popolazione attiva? Oppure unicamente attraverso un consistente aumento dell'IVA, che implicherebbe un aumento stimato dell'aliquota di almeno il 2% a partire dal 2030? Indipendentemente dalla loro configurazione, tali misure avrebbero inevitabilmente un impatto significativo sui prezzi al consumo (inflazione) e, di conseguenza, sul potere d'acquisto, di nuovo quindi a carico anche degli attivi.

La Svizzera gode di un elevato benessere e di una delle più alte aspettative di vita al mondo. Tuttavia, in relazione al pensionamento ordinario, rispetto a Paesi con un PIL pro capite comparabile (in effetti quello svizzero è superiore) come Germania, Italia, Spagna, Svezia, Regno Unito (attualmente 66 anni, previsto 67 tra il 2026-2028), Danimarca (67, e 68 nel 2030), USA (66-67) e Norvegia, per citarne solo alcuni, la Svizzera ha un’età di pensionamento legale tra le più basse. Un controsenso dal punto di vista attuariale. Con la flessibilità di scelta tra i 63 e i 70 anni, attualmente la rendita AVS viene percepita al compimento dei 65 anni (con un progressivo adeguamento per le donne).

Si potrebbe ipotizzare una soluzione (forse provocatoria, ma ponderata) che non gravi sproporzionatamente sulle giovani generazioni e sulla popolazione attiva, tenendo conto del cumulo dei fattori ineluttabili sopra menzionati. Questa soluzione consisterebbe nel ponderare un’indicizzazione dell'età ordinaria di pensionamento. L'obiettivo è garantire la sostenibilità dell'AVS per le future generazioni per l'intera durata della loro pensione, una durata, ricordiamolo, raddoppiata dal 1990. Oggi tale età indicizzata si attesterebbe tecnicamente in prossimità dei 67 anni, per poi fluttuare (salire e in seguito diminuire) attorno alla metà degli anni 2040. L’introduzione, ipotizziamo, dovrebbe avvenire gradualmente nell’arco di 2-3 anni – opportunamente dilazionata per le donne giacché recentemente oggetto di un aumento del loro pensionamento legale – per raggiungere i 66 anni entro il 2032, e a seguire con un aggiornamento (mese per mese) ogni 2 anni.

L’evoluzione, nell’ordine di una diversificazione delle fonti, potrebbe essere modulata con altri adeguamenti minori e quindi ponderati dell’IVA, ove la nostra è tra le più basse nel confronto internazionale, e quindi far parte di un modello misto sicuramente più solido quanto solidale, con carichi meglio distribuiti e non sproporzionatamente sulle spalle delle future generazioni. Ciò consentirebbe una ripartizione più equa degli oneri rispetto all'attuale, rigido e insostenibile, limite dei 65 anni.

Come gestire, in questo scenario, la situazione dei professionisti impegnati in lavori usuranti o delle fasce meno abbienti che potrebbero non avere l'opportunità di lavorare fino a 66 anni o più, e quindi non potrebbero rimanere scoperti senza percepire l’AVS per un determinato periodo? Come conciliare ciò con i principi del nostro Stato sociale? Per i primi, esistono già meccanismi come la Cassa Complementare nel settore edile, che offre la possibilità di pensionamento anticipato. Per le fasce meno abbienti, ossia coloro che beneficeranno/beneficerebbero delle prestazioni complementari all'AVS, e analogamente per altre categorie specifiche, si potrebbe garantire una rendita ponte. Questa rendita coprirebbe il periodo fino al raggiungimento della nuova età ordinaria di pensionamento e sarebbe finanziata da un aumento graduale e flessibile dell'IVA, a carico dell'intera collettività, risultando però finanziariamente più sostenibile. Ciò si applicherebbe qualora le altre forme di assistenza sociale mantenessero il limite attuale dei 65 anni.

Questo approccio permetterebbe inoltre di ottenere un secondo effetto positivo: l'incremento del capitale individuale del secondo pilastro, anch'esso messo sotto pressione dall'aumento della longevità.

È vero, tanti elementi si sovrappongono. Esigenze, sensibilità, aspettative e diritti, e non si potranno certo ora, dopo anni di pasticci e “cerotti”, gestire tutte queste importanti sfide con la bacchetta magica. Fatto sta però, e tornando alla nostra AVS, che stiamo parlando di un contratto intergenerazionale, di attivi di proprietà delle cittadine e dei cittadini e non dello Stato, di un principio, di un pilastro sociale più che ancorato, basato sulla ridistribuzione dove chi guadagna o ha guadagnato di più, sostiene chi guadagna o ha guadagnato di meno. Se lo vogliamo mantenere e garantirne un futuro, anche considerando il freno all’indebitamento e le misure di risparmio che la Confederazione sta valutando, dobbiamo averne cura ed agire ora.

Sarà finalmente possibile affrontare in termini concreti il futuro dell'AVS, salvaguardando il contratto intergenerazionale e il principio di solidarietà sociale? Spero vivamente di sì, è giunto il momento di smettere di "pasticciare".

 

Marco Netzer, Amministratore

Già Presidente dei Fondi di Compensazione AVS/AI/IPG
Già Presidente della Fondazione d’investimento della Zurich