Tre rotture del legamento crociato anteriore allo stesso ginocchio, entrambe le spalle operate e un’operazione alla schiena. Non è la lista degli infortuni di un valoroso militare tornato dalla guerra, ma quella del nazionale svizzero Justin Murisier.
“Da giovane mio papà frequentava il mondo del motocross e io condividevo con lui questa passione. Ricordo di aver conosciuto diverse persone che avevano subìto infortuni gravi, alcuni di loro erano anche rimasti paralizzati e quindi ho sempre pensato che, in fin dei conti, un legamento crociato anteriore non fosse un infortunio grave: si poteva operare e quindi riparare. Ogni volta che mi sono infortunato, dopo lo choc ero sempre positivo, convinto che una buona rieducazione mi avrebbe fatto tornare ai miei livelli migliori. Nello sci avevo davanti a me atleti come Beat Feuz o Didier Cuche che erano tornati ai massimi livelli dopo infortuni gravissimi. Io ho anche sempre avuto la sensazione che lo sci fosse il mio sport, quello che mi sentivo cucito addosso. Anni fa avevo fatto un patto con me stesso: Smetterò quando il mio livello sarà insufficiente, non certo per un infortunio!”
Una testardaggine, una capacità di non mollare mai che la leggenda narra sia una caratteristica degli abitanti della Val de Bagnes …
“È una leggenda (ride, ndr). Si dice spesso che siamo dei duri nella Val de Bagnes, e penso che questa sia una nomea legata agli atleti di questa regione che mi hanno preceduto. Alcuni di loro hanno davvero dimostrato una grande tenacia. Pensa ad esempio a William Besse. Quando era in nazionale di discesa, non ha mai mollato. Lavorava come un pazzo, era acribioso in tutto quello che faceva, non lasciava nulla al caso. Se però consideri Roland Collombin vedi che ha partecipato solo a 17 gare in Coppa del Mondo e poi, dopo l’ultimo infortunio, ha salutato tutti e se n’è andato. Credo che dipenda dal singolo. Io sin dalla più tenera età ho sempre amato la competizione e quando ho capito che avrei potuto vivere del mio sport gareggiando in Coppa del Mondo, non ho mai avuto la sensazione che ci fosse qualcosa che mi piacesse di più e quindi ero contento. Provo ancora oggi un piacere immenso in quello che faccio e questa è la benzina che mi fa continuare, nonostante qualche ostacolo incontrato sul mio cammino”.
Amante della competizione, del duello a distanza con gli avversari, Justin Murisier in età juniori era un eccellente slalomista, ma l’amore per l’adrenalina e la velocità negli anni l’hanno portato sempre più verso super gigante e discesa libera. Una trasformazione che sta completando in questi anni di fine carriera. Una passione per le emozioni forti che Justin non vive solo sugli sci, ma anche in sella alla sua moto, sia essa da cross oppure da strada.
“Le sensazioni che si provano, soprattutto quando giri in circuito, sono simili a quelle che senti quando sei sui sugli sci. Se invece parliamo di adrenalina pura, non ho ancora trovato un altro sport che mi dia le stesse scariche di adrenalina che provo durante una discesa libera. Bisogna anche precisare che nello sci sono tra i migliori al mondo, mentre con la moto non sono così bravo. Quando scio e quando sono in sella ad una moto sono gli unici momenti della giornata dove sono concentrato sull’azione e non penso a tutto il resto. Mi sento libero. In quei momenti non rifletto, sono nell’azione al 100% “.
Lo sport è un mondo nel quale gli atleti hanno spesso difficoltà nel criticare pubblicamente ciò che non funziona. Justin Murisier, invece, è sempre stato piuttosto fumantino, a volte anche troppo. Un modo di agire che gli ha creato anche qualche grattacapo.
“È vero che in un paio di occasioni aver detto in faccia qualche verità scomoda mi ha creato qualche problema, ma io sono fatto così. Non amo parlare alle spalle delle persone, detesto i leccapiedi. A volte mi rendo conto che è anche una questione di carattere. Mi spiego. Gli svizzero tedeschi hanno tendenza a stare zitti se qualcosa non funziona, io reagisco esattamente nella maniera opposta. Se va bene ringrazio gli allenatori e il team, ma se ci sono dei problemi reclamo, a volte usando anche un linguaggio colorito, che non sempre è apprezzato. Sono diretto e lo sono sempre stato. Questo mio carattere, mi ha anche aiutato a ritornare dopo gli infortuni. Con il trascorrere degli anni sono migliorato o meglio ho imparato a relativizzare alcune cose, il che non significa che abbia imparato a tacere. Se qualcosa non mi va, lo dico e basta, a prescindere da chi ho davanti.”
Lo sport di competizione è spietato, la storia ha raccontato di amicizie andate in frantumi per gare vinte da taluni e perse da altri. Cionondimeno esistono anche le amicizie vere, quelle che ti porterai avanti anche nel dopo carriera.
“Daniel Yule è il mio migliore amico. È una persona molto importante per me. Quando ero più giovane, non pensavo che a questo livello fosse possibile avere delle amicizie sincere e vere visto che siamo avversari in pista. Ora ho cambiato idea e il motivo è semplice: nello sci è il cronometro il tuo vero avversario, non la persona”.
Caratterialmente tu e Daniel Yule siete però molto differenti, direi agli opposti …
“Concordo. Le persone ci percepiscono in modo diverso, abbiamo un modo diverso di esprimerci. Lui è più riflessivo, io più istintivo, però ti assicuro che quando discutiamo, a prescindere dall’argomento, siamo sulla stessa lunghezza d’onda. Sembra paradossale ma Daniel, che ha un’anima verde ed ecologista, riesce a capire il mio amore per i motori e io riesco a capire il suo per l’ecologia. C’è sempre un profondo rispetto tra di noi.”
Il rapporto di amicizia con Marco Odermatt invece è diverso, ancora forse da definire nella sua totalità o mi sbaglio?
“Con Marco ci siamo conosciuti più tardi e il nostro legame è soprattutto sciistico e quindi professionale. Siamo in sintonia quando siamo sugli sci, poi può ad esempio capitare che durante l’estate non ci telefoniamo per 2 mesi. Con Daniel invece il telefono squilla un giorno sì e uno no. Nel mondo dello sci ci sono 4 o 5 persone con le quali ho un bel rapporto. Marco fa comunque parte di questo gruppo ristretto.”
Lo sportivo vive di emozioni legate soprattutto alle vittorie. C’è chi come Marco Odermatt ha avuto la fortuna - a 24 anni - di già aver vinto tutto quello che si poteva sperare di agguantare nello sci, ma anche Justin Murisier ha versato qualche lacrima di felicità in passato ….
“L’emozione più grande l’ho sicuramente vissuta nel gigante di Alta Badia nel 2020 quando sono salito per la prima volta su un podio di Coppa del Mondo. Conquistare un podio era un obiettivo che mi ero prefissato quando ero più giovane. Mi ero ripromesso che non avrei smesso fino a quando non avrei ottenuto un podio. In Alta Badia, dopo quel terzo posto, ho pianto di felicità perché ero contento di non aver mollato, di aver continuato a crederci, anche se in molti mi avevano detto di smettere, di concludere la carriera. Avrei potuto conquistare più podi in gigante, la fortuna non è però sempre stata dalla mia parte. C’è un po’ di rammarico, ma non si possono cambiare le cose.”
Il gigante è stato il tuo grande amore. A fine dicembre valuterai se continuare oppure se dedicarti solo alla velocità. Hai un po’ l’impressione di essere nato slalomista e di morire – sportivamente parlando – discesista? Sarebbe davvero un cambio di pelle totale …
“È chiaro che voglio andare a cercare dei podi in velocità e credo di avere le carte per farlo. Se non avessi questo obiettivo avrei già smesso. In discesa libera sarà solo la mia seconda stagione, non posso quindi pensare di andare a podio in tutti i week end. Se non incapperò in nuovi infortuni spero di concludere la mia carriera tra 4 o 5 anni e, probabilmente, saranno stagioni dedicate solo alla velocità.”