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“Non sarei mai riuscita a diventare una brava casalinga...”.

Fine Ottocento. La seconda rivoluzione industriale è partita da poco (1870), ma il lavoro di semina e raccolto nei campi è quello di sempre e, soprattutto nelle risaie, sono le donne ad essere impiegate da mattino a sera per pochi spiccioli. Sono proprio le donne a dare il “la” ad una rivoluzione che unirà lavoratrici e lavoratori in una lega che condivide aspettative e rivendica giustizia. “Sebben che siamo donne” diventa una canzone che si trasforma in inno.

“Sebben che siamo donne” è il titolo di questa rubrica che, mese dopo mese, vuol farvi conoscere donne speciali. La prima ospite, a settembre 2022, è stata Carla Del Ponte, seguita, nel 2022, da: Laura Silvia Battaglia, Federica De Rossa e Valeria Doratiotto Prinsi. Poi, nel 2023, si sono succedute: Roberta Cattaneo, Sandra Manca, Monica Duca Widmer, Franca Verda Hunziker, Rosanna Michelotti, Gabriella “Gaby” Malacrida, Morena Ferrari-Gamba, Elvira Dones, Anna Giacometti, Elisabetta Morandi e Giovanna Masoni. Prima ospite di “Sebben che siamo donne” del 2024: Cristina Maderni, alla quale sono seguite: Luisa Lambertini, Barbara Robbiani Sacchi, Maria Cristina Regazzoni, Cecilia Beti, Silvia Metzerlin, Monika Rühl, Valeria Nembrini Vitta, Susanne Beer, Denise Tonella e Giada Marsadri. Il 2025 di “Sebben che siamo donne” si è aperto con Michela Solari, è proseguito con Victoria Jabbour, Stefania Bacciarini, Michela Ferrari-Testa, Patrizia Chirco Somaini, Francine Rosenbaum e Maria Bonzanigo. Oggi, nel primo numero del quarto anno di Lib- (che inizia proprio a settembre), incontriamo

 SUZANNE WERDER: “Fondazione Balzan, il mio grande amore” 

È binazionale a tutti gli effetti. È svizzera con casa a Lugano ed è italiana con casa a Milano pur essendo cittadina onoraria di Badia Polesine (Comune in provincia di Rovigo). Sebbene lo scorso 8 giugno abbia festeggiato, con 16 amici, l’arrivo dell’estate e i suoi 77 anni, quando si ha la fortuna di incontrarla il discorso sull’età – avete presente? quello che sostiene che non sono gli anni a determinarla, ma lo spirito – risulta quanto mai azzeccato. Lei, Suzanne Werder, ha un’energia che ti arriva dritta all’anima. Il suo entusiasmo e la sua passione si avvertono immediatamente. Bastano poche frasi, precise e puntuali ed ecco che, attorno al nostro tavolo, sfilano nomi e volti di persone che hanno marcato la storia del Novecento. Può sembrare strano, ma non lo è. Suzanne Werder infatti è, dal 2003, la segretaria generale della Fondazione Internazionale Balzan “Premio” – istituita a Lugano nel 1956 in memoria di Eugenio Balzan -. Questa Fondazione opera attraverso due sedi istituzionali, una a Milano – la Balzan “Premio” - e una a Zurigo – la Balzan “Fondo” -.

La prima è presieduta da Maria Cristina Messa e, attraverso il suo Comitato generale Premi presieduto da Marta Cartabia, sceglie le materie da premiare e seleziona le candidature (ogni anno la Fondazione assegna quattro premi, due nelle lettere, scienze morali e arti; due nelle scienze fisiche, matematiche, naturali e medicina). Curiosità: ognuno dei quattro premiati riceve 750'000 franchi, metà dei quali sono da destinare a progetti di ricerca che coinvolgano giovani ricercatori. Con un intervallo non inferiore a un triennio, assegna anche un Premio speciale per l’umanità, la pace e la fratellanza tra i popoli.
La seconda, quella con sede a Zurigo presieduta da Gisèle Girgis-Musy, amministra invece il patrimonio lasciato da Eugenio Balzan. Presentata, seppure solo in modo sommario, la Fondazione, torniamo alla nostra ospite.

Suzanne Werder, lei è segretaria della Fondazione Balzan da 44 anni. E prima di cosa si occupava?

“Alla Fondazione Balzan fui assunta nel 1981 dopo aver inoltrato la mia candidatura, giacché avevo visto l’inserzione di ricerca del personale sul Corriere della Sera. Mi ero detta: perché non provare? Ormai ero da qualche anno a Milano. Ci ero arrivata all’inizio degli anni Settanta e, lo ammetto, continuavo a cambiare lavoro perché niente mi soddisfaceva”.

Posso chiederle perché scelse di trasferirsi a Milano?

“La cosa non è semplice come può sembrare. Più che una scelta fu un passaggio obbligato. Mi spiego. Quando arrivai a Milano vi giunsi, non come oggi, da Lugano, ma da Aarau. Io sono nata in Belgio – mia mamma era belga -, ma a un certo punto papà, che era svizzero, decise che voleva tornare in patria e così arrivammo nel Canton Argovia. Qui nacque mia sorella e qui imparai il tedesco, ma anche lo Schwyzerdütsch, frequentai le scuole dell’obbligo e il liceo cantonale. Sì, proprio quello dove insegnava Anna Felder, ma io non l’ho mai avuta come insegnante. Mia sorella, invece, sì. Papà, quando ottenni la maturità liceale, mi disse: ‘Adesso vai a Zurigo e ti iscrivi all’università’, ma io gli risposi che non ci pensavo proprio. Trovavo quelli che si iscrivevano e frequentavano l’università di Zurigo persone che se la tiravano troppo e così dissi a mio padre che preferivo approfondire lo studio e la pratica delle lingue, cosa che bisogna fare solo vivendo in un posto. Lui mi mandò a Manchester a lavorare da un suo amico che si occupava di tecnologie di rete. Migliorato l’inglese e tornata in Svizzera avrei voluto dedicarmi allo spagnolo. Perciò scrissi all’ambasciata svizzera in Messico per chiedere se vi fossero posti di lavoro disponibili in modo da poter integrare, come avvenuto in Gran Bretagna, lavoro e formazione linguistica. L’Ambasciatore mi rispose personalmente, dicendomi, pur in modo elegante, che in Messico non c’erano abbastanza posti di lavoro per i messicani e quindi non ce n’erano proprio per cittadini stranieri. Papà, che era già poco entusiasta della mia idea, mi fece notare che la terza lingua nazionale svizzera era l’italiano e che quindi, anziché volare oltre oceano, potevo accontentarmi di prendere il treno e andare a Milano a perfezionare le conoscenze acquisite al liceo. Ecco, è così che sono arrivata in questa città che, anno dopo anno, è diventata la mia città”.

Però in quel momento lei non faceva la segretaria…

“No, non facevo la segretaria. Avevo trovato lavoro in una compagnia di assicurazioni piuttosto importante dove a fungere da corsia preferenziale per la mia assunzione fu il fatto che parlavo tre lingue – francese, tedesco e inglese – e che sapevo già esprimermi correttamente in italiano. Poi, come le ho detto, ho continuato a cambiare posto di lavoro e, pagandomi gli studi, mi sono iscritta alla facoltà di lingue e letterature moderne allo IULM, università privata che offriva la possibilità di seguire corsi serali, dove mi sono laureata. Nel 1976, mi sono anche sposata. Il matrimonio però è durato solo 14 anni, nei quali ho capito che per la vita di coppia non ero proprio tagliata”.

Verrebbe da dire che ‘per la vita alla Balzan’ le cose sono andate diversamente…

Sì, sono andate decisamente in modo diverso e questo perché, grazie anche a un ambiente di lavoro davvero eccezionale, mi sono inserita, da subito, in un team motivato ed entusiasta. È grazie a ciò e alle persone che ho conosciuto e con le quali ho potuto interagire che si è accesa una vera passione per quanto mi si chiedeva di fare e che stavo facendo. Pensi che anche adesso, dopo oltre 40 anni di lavoro alla Fondazione Balzan, ogni giorno imparo qualcosa e le assicuro che tutto ciò continua ad affascinarmi”.

Se le chiedessi chi le ha insegnato e cosa, lei chi mi citerebbe?

“Potrei parlarle di Carlo Bo, il primo presidente del Comitato Generale Premi Balzan che ho conosciuto. Lui mi ha educata al silenzio e all’ascolto. Poi non posso tralasciare di menzionare l’ambasciatore Sergio Romano – anche lui presidente dello stesso Comitato – che mi ha aiutata ad essere meno diretta (caratterialmente non sono particolarmente dotata sul fronte della diplomazia) rendendomi così più capace nell’arte di raggiungere soluzioni condivise. A migliorarmi ulteriormente su questo versante è poi arrivato Bruno Bottai, anche lui ambasciatore e presidente della Fondazione dal 1999. Fu proprio Bottai – e lo dico per inciso – che decise di propormi per la promozione, dal 2003, al ruolo di segretaria generale della Fondazione. Poi è stata la volta del filosofo Salvatore Veca, una persona che ho amato moltissimo e che, nel corso della sua presidenza del Comitato Generale Premi – dal 2009 al 2017 -, mi ha istruito sull’importanza della tolleranza aiutandomi a ricercare quell’equilibrio che pure esiste tra il bianco e il nero, tra il bello e il brutto. Come vede sono stata aiutata e non poco a svolgere al meglio il mio ruolo e, se mi passa la metafora, la ciliegina sulla torta l’ha messa Enrico Decleva, storico, rettore della Statale di Milano, che con la forza gentile della sua personalità è riuscito a farmi superare i momenti d’ansia che mi assalivano nei periodi di super lavoro. Sono stata fortunata anche a lavorare con il successore di Decleva, Alberto Quadrio Curzio, pure Presidente onorario dell’Accademia nazionale dei Lincei, che mi ha insegnato molto sul versante della gestione e del rigore, sia professionale sia personale. C’è un’altra persona, esterna alla Fondazione, che mi ha arricchita enormemente: la locarnese Renata Broggini, biografa di Eugenio Balzan, con la quale ho condiviso i momenti migliori di questa esperienza e che mi ha sempre incoraggiata a dare il meglio di me stessa, con il suo esempio e i suoi stimoli culturali e affettivi”.

Suzanne Werder, quale la cosa della quale va maggiormente fiera?

“Onestamente le cose sono due: da un lato la cittadinanza onoraria concessami dal comune di Badia Polesine – che è poi il paese d’origine di Eugenio Balzan – nel giorno in cui fu inaugurata l’esposizione permanente della sua collezione d’arte; dall’altro, l’Ambrogino d’Oro attribuitomi a Milano nel settembre del 2008. Vede, proprio in quell’anno, riuscimmo ad ottenere che un pezzo di Via Montebello, laddove incrocia con Via Solferino, prendesse il nome di Eugenio Balzan. Un atto, a mio modo di vedere, dovuto visto che Balzan è stato – prima ancora di diventarne direttore amministrativo – uno dei giornalisti più noti del Corriere della Sera ed è sicuramente colui che ha contribuito in modo determinante a rendere questo giornale il più grande quotidiano d’Italia del Novecento. In entrambi i casi il lavoro svolto dalla segreteria del Premio è stato determinante e, in occasione di entrambi questi riconoscimenti, le emozioni che ho provato sono ancora vive e chiare in me. Vede, i compiti della segretaria generale – favorire la comunicazione e rendere visibile la Fondazione, ciò come strumento ma non come fine - si svolgono dietro le quinte e non sul proscenio. Trovarsi, improvvisamente, sotto i riflettori è stata un’esperienza indimenticabile”.

Lei ha iniziato la sua attività alla fine degli anni Settanta. Ha mai sentito il peso di essere donna?

“No, sinceramente, mai. In tutti questi anni ho vissuto e lavorato come persona condividendo oneri e onori con e tra altre persone animate da un unico desiderio, persone che insieme volevano e vogliono raggiungere il medesimo obiettivo: diffondere il sapere e la conoscenza, promuovere nel mondo la cultura, le scienze e le più meritevoli iniziative umanitarie di pace e di fratellanza tra i popoli. Inimmaginabile, per me, ma anche per loro, impostare le relazioni interne sulla base del genere piuttosto che su quella delle idee. Ammetto di essere stata parecchio fortunata e sono davvero contenta di esserlo”.

Suzanne Werder, se lei si dovesse definire, come si descriverebbe?

“Direi che sono una donna che non sarebbe mai riuscita ad essere una brava casalinga. Direi che sono una persona curiosa e anche un po’ avventuriera. Sono, soprattutto, una che ha continuato a lavorare a più non posso perché ha amato quello che stava facendo e le persone con cui l’ha fatto. Adesso, come ogni anno, ci stiamo concentrando sulla decisione e sull’annuncio dei nomi dei quattro vincitori dei Premi Balzan 2025 che avrà luogo a settembre a Milano, e poi sulla consegna dei premi che avrà luogo a novembre a Berna, a Palazzo federale. L’anno scorso, invece, a novembre eravamo al Quirinale dove siamo stati ricevuti dal presidente Mattarella. È sempre così: una volta la cerimonia si tiene in Italia e la successiva si tiene in Svizzera. Poi, nel 2026, arriverà il momento in cui dovrò cominciare a pensare che non ho più vent’anni e che, sì, forse già l’anno prossimo arriverà il momento in cui lascerò il mio incarico. A malincuore, perché lavorare con Maria Cristina Messa e Marta Cartabia è interessante e sempre coinvolgente”. Squilla il telefono.“ Mi deve scusare, ma… far coincidere le agende di tutti i componenti del mondo Balzan è spesso un’impresa”. Buon lavoro signora Werder.