È questo quanto si aspetta dal suo partito Stefano Lappe, presidente della sezione PLR di Locarno
Così come un avvocato deve individuare l’obiettivo e il percorso per raggiungerlo, anche in politica Stefano Lappe – trentacinquenne presidente della sezione PLR di Locarno e co-fondatore dello studio legale ad metam – si interroga sulla direzione da seguire. Forse anche per questo non si è aggregato al flusso dei giovani che, terminati gli studi, lasciano il Ticino, anzi è tornato per vivere e lavorare sul territorio. Eccoci, siamo pronti per un’intervista a tutto campo, dall’avvocatura alla digitalizzazione, dalle nomine giudiziarie al Consiglio cantonale dei giovani, dal Locarno Film Festival al futuro del partito. Ne sono certo, sarà un’intervista illuminante.
Avvocato Lappe, lei ha rinunciato alle grandi “Law Firms” di Zurigo per tornare in Ticino. Come è andata?
Dopo gli studi liceali mi sono indirizzato verso le discipline giuridiche, ottenendo un bachelor e un master a Zurigo. Per i principali studi legali a vocazione internazionale un secondo master all’estero rappresentava spesso un titolo apprezzato. Allora pronti via, ed eccomi a Washington, alla Georgetown University. Oltre all’opportunità di approfondire i segreti della “common law”, del campus ho apprezzato l’esperienza di vita. Utili mi sono poi tornati i contatti che qui ho potuto instaurare. Oggi mi permettono un confronto su ogni tipo di tematica con risvolti internazionali, dall’Australia a Panama o alla Svezia. Certo, Washington è una città particolare, che nel fine settimana si spopola perché i membri del Congresso e gran parte del loro entourage tornano nei loro Stati di provenienza. La vita del campus, però, resta molto stimolante. Diventi parte di una comunità basata su di un confronto diretto e immediato. Dimentichi le classi da ottocento studenti di Zurigo, a Georgetown ci si ferma per strada a parlare con i professori, che ti chiedono come hai passato il week end. Tornato a Zurigo ho lavorato sia in un grande studio sia in tribunale, ma poi ho sentito la necessità di fare il mio mestiere nel mio cantone esprimendomi in italiano. Il richiamo del Ticino era forte e allora ho contattato Giovanni Merlini, che a stento conoscevo ma di cui apprezzavo la reputazione, offrendomi di collaborare con il suo studio, che guarda caso cercava un giurista. Lavorare con un avvocato affermato, che per di più sedeva nella Commissione affari giuridici del Consiglio nazionale, mi ha schiuso l’orizzonte dei grandi temi in discussione a Berna, al crocevia fra diritto, istituzioni e politica. Di Giovanni ciò che ho apprezzato di più è stata l’attenzione che riservava all’autonomia di giudizio dell’avvocato nel rappresentare il cliente: un principio che continuo a considerare centrale.
E poi è arrivato il momento di mettersi in proprio…
Esatto. Insieme a un gruppo di amici e colleghi avvocati – con cui condivido visione e approccio – abbiamo deciso di aprire uno studio. Senza riferimenti ai cognomi: volevamo un’identità che parlasse di valori comuni, di collaborazione e di appartenenza. Il nome ad metam è nato proprio da lì, dalla convinzione comune che il lavoro dell’avvocato sia quello di accompagnare una persona verso un obiettivo, che non sempre è identico a quanto, inizialmente, immaginato dal cliente. Lungo il cammino le competenze giuridiche sono la base, ma sono spesso quelle empatiche ed emotive a evitare che si finisca in labirinti o vicoli ciechi.
La professione è sempre più digitale, vero?
Il tema mi è caro proprio perché la mia professione ne è profondamente toccata. Non a caso siedo nella Commissione digitalizzazione dell’Ordine degli avvocati, antenna volta a recepire novità e a proporre a tutti gli avvocati strumenti per avvicinarsi ad un mondo che altrimenti rischia di travolgerci. Le implicazioni giuridiche della digitalizzazione sono così profonde che il tema merita di essere seguito ogni giorno, ogni ora. Ma niente paura, le scenografiche biblioteche degli studi di avvocatura che fanno mostra di sé in ogni fotografia resteranno, perché il giurista ama la carta. Basta fare un giro per i corridoi universitari per rendersene conto: potrebbero fare tutto con un tablet, ma scelgono ancora carta e penne. Ma l’intelligenza artificiale avanza e i commentari sono sempre più gestiti tramite sistemi complessi, veloci nel trovar sentenze rilevanti per un singolo caso oggetto di analisi e di individuare tutte le altre ad esse correlate. Mi diverte mettere questi sistemi alla prova con test mirati: ne riconosco i vantaggi ma anche i limiti quando si tratta di arrivare a una sintesi giuridica. L’interesse si estende alla mia attività di consigliere comunale, dove insisto affinché la città di Locarno sia vicina al cittadino non solo nello spazio fisico, ma anche attraverso servizi digitali semplici e accessibili.
Come giudica la sua esperienza nella Commissione delle nomine giudiziarie del partito?
Ho cominciato da qualche mese con entusiasmo, anche perché ho notato che in questo campo il PLR è (finalmente) animato da quella determinazione che è necessaria per produrre un cambiamento ormai improcrastinabile. Il lavoro in Commissione consiste nell’aiutare a definire un piano carriere e a individuare quali siano i profili più promettenti da proporre, anche tra persone molto giovani. Lo abbiamo visto di recente: l’età non è più un ostacolo nel percorso di elezione di un magistrato. Ciò che conta è selezionare persone che siano realmente motivate a costruire un percorso duraturo nella magistratura, e non solo attratte da una tappa di passaggio. Il nostro lavoro, però, potrà davvero incidere solo se accompagnato da una riforma profonda del sistema giudiziario, perché mettere i piloti giusti a guidare una macchina che non funziona sarebbe inutile. La “Risoluzione” approvata dal Gran Consiglio lo scorso mese di ottobre, da questo punto di vista, è un primo segnale incoraggiante.
Come si è affacciato alla politica?
I primi passi li ho mossi nel Consiglio cantonale dei giovani, un gremio apartitico dove, come richiesto dalla Legge giovani, ai partecipanti è richiesto un approccio super partes. Un’esperienza costruttiva, che mi ha offerto opportunità rilevanti per affinare il mio carattere e le mie capacità. In retrospettiva, non pochi dei giovani con cui al tempo mi confrontavo hanno oggi assunto posizioni di rilievo nella società. In quegli anni ho poi potuto osservare in modo spassionato come lavorano i vari movimenti giovanili e quindi, indirettamente, i partiti politici di riferimento. Mi sono così avvicinato a chi maggiormente rifletteva i miei valori, il PLR. Certo, anche io sono cresciuto all’interno di una tradizione familiare. Elda Marazzi era zia di mia madre e mia nonna Ines Delgrande, a Locarno, era nota per le sue opinioni da convinta liberale radicale, sostenute da un fervore quasi totalizzante. Nonostante il contesto familiare, non credo di aver subito condizionamenti particolari: ho aderito al partito per convinzione personale.
Come è giunta la presidenza della sezione di Locarno?
Le sezioni costituiscono la linfa vitale del nostro partito. Al loro interno ogni presidente – insieme alla propria squadra – si trova ad affrontare un compito non semplice: facilitare il dialogo su temi molto concreti con chi opera nel contesto cittadino. Certo, l’esperienza nella politica giovanile, in un contesto equidistante dai partiti, ha rappresentato un buon esercizio di confronto e sintesi, utile anche oggi nel dialogo locale. A Locarno il partito è oggi compatto. Le divergenze, che pur esistono, vengono affrontate evitando lo scontro, grazie anche alla tradizione di una sezione che detiene il sindacato da oltre cento anni e che ha sempre saputo generare un certo progresso. Ho assunto la presidenza nel 2021, in un momento in cui per accedere alla carica di certo non c’era alcuna coda. I grandi vecchi stavano lasciando e la sfida era promuovere un deciso ma per nulla scontato ricambio generazionale. In una parola, la missione consisteva in una “ripartenza”: coinvolgere la base della società locarnese in un progetto volto a costruire un gruppo capace di guidare la politica cittadina nei successivi otto-dodici anni. La presenza di una nuova generazione è stata da subito una delle caratteristiche del gruppo: oltre ai giovani consiglieri comunali neoeletti penso al vicepresidente Orlando Bianchetti, all’ex capogruppo Luca Renzetti e al suo successore capogruppo Michele Martinoni, per non menzionare Nicola Pini che di certo è un sindaco fra i più giovani del Cantone, che si è da subito distinto per preparazione e sensibilità personale e istituzionale. La selezione si è basata sulla rinuncia ad una commissione cerca, per evitare ogni compromesso. Con il vicepresidente abbiamo svolto quella che in termini aziendali potrei chiamare una “stakeholder analysis”: abbiamo contattato più di 120 persone della città, provenienti da contesti sociali, professionali e personali diversi. Ne sono emerse aspettative, critiche, spunti e proposte che ci hanno permesso di costruire un programma politico e una rosa di candidati di qualità.
Sul futuro di Locarno quali sono le sue sensazioni?
Locarno è una città che offre una qualità di vita molto alta, lo conferma anche un recente studio UBS. Ma guarda a un futuro che, accanto a grandi opportunità, porta con sé anche sfide complesse: nei prossimi dieci anni sono previsti oltre 250 milioni di investimenti pubblici di rilevanza regionale, un impegno importante per una realtà delle nostre dimensioni. Il problema è che la capacità di autofinanziamento della Città non è ancora sufficiente. Locarno fatica ad attrarre contribuenti economicamente rilevanti, e questo genera uno squilibrio strutturale che pesa sulle finanze comunali. Come sezione, riteniamo che non sia più sostenibile continuare a garantire servizi anche per i comuni vicini senza un’adeguata contropartita. Troppo spesso la nostra Città si assume oneri e responsabilità che altri evitano, riuscendo così a proporre un'imposizione fiscale più vantaggiosa. Da liberale-radicale, mi chiedo se questo sia davvero il modello di collaborazione tra enti locali che vogliamo portare avanti, e il tipo di regione che desideriamo costruire: una regione è forte e attrattiva solo se lo sono tutte le sue componenti, senza eccezioni.
Di recente lei è diventato segretario del CdA del Locarno Film Festival. Come lavorano il Consiglio e il suo segretario?
Che lo viva da spettatore, da collaboratore o organo aziendale oppure ancora da voce critica, un locarnese ha un solo modo di stare dentro il Festival: col cuore. Chi passa come lei dal mio ufficio nota subito le tracce del Festival: poster, oggetti e altri cimeli. Ma il Festival non è solo passione individuale, a livello di territorio è una macchina che proietta Locarno in una dimensione artistica, culturale e istituzionale unica, e in questo il ruolo del Consiglio di amministrazione come massimo organo strategico è decisivo. Sarà al corrente che la governance è di recente cambiata, passando da quasi 25 a 7 consiglieri. È una scelta di efficienza volta a favorirne il ruolo di organo strategico e di sorveglianza che pur non entra nelle scelte del direttore artistico, cui invece deve al contrario offrire le condizioni per lavorare al meglio. Il ruolo di segretario consiste nel fungere da snodo di collegamento fra CdA, direzione e assemblea, assicurando il buon funzionamento e la coerenza dei processi. In un’organizzazione sostenuta in modo significativo dal settore pubblico e dagli sponsor, è fondamentale garantire il pieno rispetto delle basi legali e la coerenza del dialogo con tutti. Insomma, un ruolo diverso da altri che ho fino ad oggi sostenuto – in una governance ancora giovane e in fase di assestamento – ma non per questo meno stimolante.
Tornando alla politica, cosa si aspetta dal PLR nei prossimi anni?
Dal livello sezionale fino a quello nazionale mi aspetto competenza e coraggio nelle scelte, al di là dei condizionamenti del calendario elettorale. Spesso leggo che siamo “il partito delle competenze”, una formula che ormai rischia di suonare come un riflesso automatico più che come una sfida continua. La domanda da porsi è se davvero riusciamo a coagulare le migliori capacità e le migliori energie presenti nelle professioni del territorio, rinunciando all’autoreferenzialità e alle solite logiche di appartenenza. È questo, per me, il percorso che dovrebbe seguire PLR: attiriamo verso di noi persone credibili, leali e capaci, che sappiano fare la differenza nei contesti in cui sono chiamati ad agire. Certo, accontentarsi è facile, più difficile invece è essere esigenti con noi stessi – nei contenuti, nei metodi e nei processi, anche quando non ci guarda nessuno. Il rischio è raccontarcela fra noi, scivolando in un circuito autoreferenziale, dove ci si rassicura a vicenda anziché interrogarsi davvero. L’opportunità, al contrario, sta nel coltivare un’ambizione sobria: incidere dove serve, con un lavoro che non si vede subito ma che si misura nel tempo.