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Dick Marty: “Non esiste democrazia senza giustizia”

È appena tornato da Losanna. Pochi giorni prima, è stato ospite di “Storie” alla RSI. Dick Marty non ha bisogno di presentazioni. È tra gli svizzeri più conosciuti in patria e all’estero. Giurista e politico ha, da sempre, due grandi amori: la giustizia e i diritti umani per i quali si è battuto, e si batte, con competenza e forza straordinarie.

Dick Marty, il 2022 sarà ricordato nei libri di storia come l’anno in cui la Russia invase l’Ucraina o come l’anno in cui l’Europa accettò di dichiarare guerra alla Russia per procura?

“Il 2022 sarà ricordato anche per l’emergenza climatica, con dei picchi inquietanti di calore, di siccità e di catastrofi naturali. Due eventi assai diversi tra loro, ma entrambi testimonianze drammatiche dell’irresponsabilità umana. L’aggressione contro l’Ucraina e le sofferenze intenzionalmente inflitte alla popolazione civile sono ingiustificabili, criminali. Occorre però ricordare che il conflitto inizia parecchi anni prima, nella quasi indifferenza generale. Oltre a condannare, dobbiamo anche chiederci perché personaggi mediocri e pericolosi come Putin (che fino a poco tempo fa aveva molti amici da noi in Occidente) possano raggiungere posizioni di tale responsabilità e godere per anni del sostegno della grande maggioranza della popolazione (e chi ha viaggiato in Russia in questi ultimi anni senza paraocchi non può che confermarlo). Sono le domande che ci siamo posti anche per Hitler o Mussolini (gli orribili crimini del primo non possono farci dimenticare le infamie dell’altro). Questi personaggi nascono e crescono in contesti particolari, non c’è mai una sola causa, bensì una costellazione di elementi molto diversi tra loro. Nel caso dell’Ucraina occorrerebbe risalire assai lontano nella storia, una storia e una cultura che si intrecciano molto strettamente tra i due odierni contendenti. Per questa vicinanza storica e culturale tra le parti direttamente a confronto, il conflitto assume anche una certa connotazione di guerra civile che, come noto, è solitamente ancora più brutale e sanguinaria. Vero è che i contendenti non sono solo due. L’Occidente, e gli USA in particolare, sono parte del conflitto con enormi forniture di armi e di competenza (e non è necessario menzionare chi sta beneficiando dell’impressionante riarmo al quale assistiamo un po’ ovunque). La comprensione di questa guerra e soprattutto la sua risoluzione sono così rese ancora più difficili, poiché c’è chi, parallelamente, sta conducendo una guerra per procura. A mio parere, molto si è già giocato al momento dell’implosione dell’Unione sovietica. Da una parte vi è stato il caos e l’assalto alla diligenza delle risorse con la conseguente apparizione di una classe di oligarchi in entrambi i paesi; dall’altra penso si sia persa un’occasione storica: aiutare la Russia ad integrarsi nella “casa europea” (espressione usata da Gorbačëv). Ma in Occidente, dopo decenni di guerra fredda, erano ancora in molti a considerare il mondo russo come un nemico. Inoltre, con la scomparsa del Patto di Varsavia, la NATO cercava nuove motivazioni per continuare a esistere ed espandersi. L’invito di Bush rivolto all’Ucraina e alla Georgia di raggiungere la NATO fu risentito come una provocazione e un’umiliazione dai Russi. E l’umiliazione favorisce l’insorgere di mostri. La guerra in Ucraina costituisce un pericolo anche a livello geopolitico. Ci si poteva aspettare che il carattere manifestamente ingiustificato e barbaro dell’aggressione putiniana provocasse una condanna corale nel mondo intero. Non è stato così. All’ONU, quasi tutti i paesi africani, l’India e molti asiatici si sono astenuti. Non penso sia per simpatia e sostegno alla Russia. Temo che ci sia un’altra spiegazione: un’irritazione e una delusione nei confronti delle democrazie occidentali ritenute ipocrite. Questi paesi non dimenticano la colonizzazione, le guerre del Vietnam, l’Afghanistan (e il modo indegno con il quale gli occidentali si sono ritirati), l’Iraq (e le menzogne per giustificare l’invasione), la Libia, il blocco di Cuba, il Cile e altro ancora. Pericoloso, perché il nostro modello democratico appare meno attrattivo a favore di regimi autocratici e nazionalisti. Uno stato di tensione permanente non sarà in grado di affrontare la formidabile sfida ambientale (che implica anche il moltiplicarsi delle pandemie) che rischia, se non affrontata con una strategia globale, di distruggere il mondo in cui viviamo”.

Dick Marty, dopo la seconda guerra di Cecenia (1999-2009), si occupò della questione dei diritti umani violati in questa ex Repubblica sovietica socialista autonoma. Perché le sofferenze dei ceceni ebbero in Occidente un’eco decisamente inferiore rispetto a quelle degli ucraini?

“Perché i Ceceni non sono europei e sono mussulmani. Per gli stessi motivi ignoriamo la guerra in Yemen, certamente una delle più crudeli o il conflitto in Congo (paese che dovrebbe interessarci poiché ampiamente sfruttato per le sue enormi ricchezze naturali). Ignoriamo le tragedie che ogni giorno si svolgono nelle acque del Mediterraneo (culla della nostra civiltà, oggi ridotto a cimitero). La percezione delle tragedie, l’indignazione e l’empatia non obbediscono a criteri oggettivi, piuttosto a visioni culturali, a pregiudizi, a mode, ma anche a condizionamenti mediatici. Insomma, per ritornare al tema di prima, al più tardi dalla seconda guerra in Cecenia non si poteva ignorare chi fosse veramente Putin. Eppure, continuò a essere ossequiato e molti si precipitarono a Soci per omaggiarlo”.

Lei è da sempre impegnato nella difesa dei diritti umani. Eppure, in quest’ultimo conflitto anche un’organizzazione come Amnesty International è stata messa in discussione. Cosa sta succedendo?

“Amnesty è certamente una delle ONG più serie del mondo (finanziata esclusivamente da contributi individuali, rifiuta finanziamenti statali e aziendali). Ha denunciato e documentato innumerevoli crimini commessi dall’esercito russo. Lo ha fatto anche una volta nei confronti di quello ucraino. Non è forse una prova della sua indipendenza e della sua obiettività? I crimini degli uni non diminuiscono affatto i crimini degli altri e non incrinano la legittimità della volontà di difendersi. Purtroppo, viviamo in un’epoca di radicalizzazione, o bianco o nero, il grigio non esiste, prevale il pensiero unico. La realtà è invece fatta di un’infinita gradazione di grigi”.

Recentemente, parlando dell’informazione, lei ha rilevato che “le mezze verità sono la peggiore menzogna”. Quante mezze verità si sono dette – e si stanno dicendo – sul conflitto in corso?

“C’è un detto dialettale che recita “in guèra, püssée bal che tèra”. Churchill lo disse più elegantemente: in guerra vi è qualcosa di preziosissimo, la verità; occorre proteggerla, con una corazza di … menzogne. Le notizie devono pertanto essere accolte e valutate con prudenza. Non solo in guerra”.

Leggendo il suo libro “Una certa idea di giustizia” l’impressione è però di un mondo alla deriva.

“Francamente non credo si possa affermare che il mondo vada bene. La biodiversità si sta riducendo con una rapidità impressionante. Le specie scompaiono una dopo l’altra. Temo che anche il genere umano sia in fila allo sportello dell’uscita definitiva. Per questo occorre una vera governance mondiale sorretta da una comunità di intenti e da un’autentica tensione etica e non esclusivamente mercantilistica”.

Dick Marty, lei crede ancora in una democrazia fondata sulla separazione dei poteri – politico, giudiziario e religioso – o nella battaglia di retrovia con la quale si tenta di far prevalere un potere sull’altro si cela un cambio d’epoca?

“La tendenza è evidente: assistiamo ovunque a un rafforzamento dell’esecutivo con conseguente indebolimento degli altri due poteri. La democrazia non esige solo la separazione dei poteri, bensì anche l’equilibrio tra di loro, ciò che gli Anglo-Sassoni chiamano check-and-balance. Si percepisce un po’ ovunque la tentazione del ricorso all’uomo forte e provvidenziale, nonostante i tragici precedenti della storia”.

Ma lei crede ancora nella giustizia o, con Cicerone (De Officiis I, 31-33), può accettare che “Summum ius summa inuiria”?

“Non può esistere una democrazia senza giustizia. Troppo spesso, tuttavia, la giustizia è forte con i deboli e debole con i forti. È intollerabile e dobbiamo reagire e lottare contro questa perversione”.

Siamo alla fine di un anno che avrebbe dovuto, dopo quelli di pandemia, vederci migliori. Come vorrebbe fosse il 2023?

“Ho fiducia nelle nuove generazioni, sapranno esprimere sensibilità e capacità nell’affrontare le tremende sfide odierne. Mi auguro che la politica sia vissuta non solo come confronto, ma anche come collaborazione poiché mai come ora abbiamo bisogno di visioni condivise e di alleanze per realizzarle. Spero che le scelte di chi governa siano fatte sulla base della competenza e di criteri etici. Questo presuppone che le campagne elettorali non si fondino sul denaro e la manipolazione dei social e che non assumano le sembianze di un gran premio del miglior venditore d’auto d’occasione. La democrazia è come una piantina delicata, ha bisogno di cure attente e continue. E perché no? anche di amore”.