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Mauro Gianetti: “Vivo gli Emirati Arabi in sella ad una bici”

Mauro Gianetti, partiamo da lontano. Lei lavora ormai da diversi anni a stretto contatto con gli Emirati Arabi. Come descriverebbe questa esperienza e quali sono le principali differenze con i suoi anni di lavoro precedenti quale manager sportivo?

Innanzitutto devo dire che sto vivendo un’esperienza bellissima, iniziata ormai nel 2014, quando sono stato chiamato dagli Emirati Arabi per lanciare una visione per promuovere l’uso della bicicletta tra la popolazione. Quindi non tanto per questioni legate al ciclismo agonistico. Dietro la richiesta c’erano soprattutto i problemi di obesità e diabete di una popolazione piuttosto sedentaria. Da qui è nata la visione di un concetto legato alla bicicletta quale veicolo di benessere, salute, alimentazione equilibrata. Nella mia testa si trattava di una visione a medio-lungo termine, ma poi tutto è partito in maniera molto celere e, voltandomi indietro, direi che siamo molto più avanti del previsto. Negli Emirati le possibilità e la voglia di agire sono incredibili.

Può farci qualche esempio?

Otto anni fa nelle città non c’erano quasi neanche i marciapiedi, oggi abbiamo sviluppato 1200 km di piste ciclabili. Siamo partiti da percorsi chiusi per favorire l’uso della bicicletta e oggi abbiamo centri sportivi con innumerevoli discipline, che permettono di fare sport con tranquillità e sicurezza. Oggi ogni nuova strada costruita, prevede una pista ciclabile, ogni nuovo quartiere è a misura di bicicletta. Abu Dhabi è appena stata nominata Bike City Friendly e presto sarà collegata con Dubai attraverso 120 chilometri di piste ciclabili perfettamente equipaggiate. Guardiamo anche oltre, ad un velodromo coperto per il 2024, alla Mountain Bike, alla BMX e a tutte le forme di ciclismo.

Cambiamo per un attimo sport. Siamo al calcio d’inizio dei Mondiali di calcio in Qatar, che sono stati preceduti anche da molte polemiche. Come leggere la situazione?

Si tratta alla base di condizioni di partenza molto diverse. Per comprendere quel che sta succedendo, va detto che il Qatar ha puntato sui Mondiali di calcio per mostrare la propria potenza economica. Negli Emirati si è invece scommesso sul ciclismo prima di tutto per promuovere la qualità di vita e per il bene della popolazione. E solo in seguito si è arrivati alla ‘vetrina’ della competizione a livello mondiale.

Quanto è rimasto del Mauro ciclista nel Mauro manager?

In fin dei conti direi che il ciclista e il manager hanno in comune la necessità di mettere dedizione, amore e passione in quello che fanno. Il ciclista si deve allenare in tutte le condizioni, anche quando magari è stanco, è spesso lontano da casa. Da manager è un po’ la stessa cosa. Da un lato gestisco una squadra di ciclisti eccezionale, che rappresenta un Paese ed è stata in grado di vincere due Tour de France. Ma che richiede anche tanta passione e tanto impegno. Dall’altro, il progetto globale di promozione del ciclismo e dello sport negli Emirati richiede tanta dedizione. E anche passione. Come era per il Mauro ciclista.

Uno dei vari progetti di sviluppo nel suo lavoro degli ultimi anni è legato al ciclismo femminile. È un esperimento di facciata o c’è davvero l’obiettivo di rendere il ciclismo femminile molto più popolare, professionale e agonisticamente importante?

A livello generale, penso che il ciclismo sia proprio uno sport che si adatta perfettamente alle donne. Del resto lo si vede anche sulle nostre strade che sempre più donne scelgono la bicicletta come disciplina sportiva. E non necessariamente a livello agonistico. È che, oltre ad essere uno sport bellissimo, il ciclismo è indipendente, flessibile. Ognuno lo fa all’ora che vuole, da solo o con altri, poco conta. Non serve prenotare, organizzare, pianificare. Si salta in sella e via.

E a livello agonistico?

La risposta è ancora più semplice, perché è la realtà dei fatti che dimostra il potenziale del ciclismo femminile. Il Tour de France femminile ha avuto un seguito mediatico strepitoso, con milioni di spettatori davanti alla tv e tantissimi anche sulle strade. L’interesse è reale. E anche la ‘bike industry’ spinge molto affinché si vada in questa direzione. Io stesso mi sono confrontato con aziende che facevano a gara per essere lo sponsor principale della nostra formazione femminile. Il motivo è semplice, il potenziale dell’investimento in termini di visibilità ora è molto elevato a fronte di costi ancora abbordabili.

Le donne cicliste sono quindi già dei “modelli” anche negli Emirati?

Si, gli Emirati sono molto emancipati come società. È una realtà che guarda e vive quello che succede attorno e quindi anche le pari opportunità sono un tema sentito. Molte donne ormai vanno in bicicletta e se ripenso al 2014 dove il ciclismo era praticamente sconosciuto, posso dire di essere orgoglioso di quanto realizzato. Vedere ragazze e ragazzi in bicicletta è una grandissima soddisfazione. Le squadre professionistiche rientrano in questo concetto di promozione della bicicletta e hanno certamente contribuito ad accelerare il processo.

La sua squadra maschile ha il privilegio di poter schierare uno dei migliori ciclisti in assoluto di questi anni, Tadej Pogacar. Come si gestisce un “personaggio” in questi anni in cui l’immagine dell’atleta conta spesso (non sempre, in questo caso) più del risultato sportivo in sé?

In realtà è abbastanza semplice, perché parliamo di un campione a 360 gradi, che ha qualità fisiche incredibili, ma anche un’attitudine mentale e caratteriale unica. Sa quello che vuole, è molto serio, professionale, dedicato. Ma senza mai perdere la testa. Mai arrogante, sempre attento ad ascoltare consigli, uomo squadra. È unico nel suo genere. In 40 anni di carriera nel ciclismo non ho mai incontrato un personaggio così forte, aperto e capace di non perdere mai il controllo di sé stesso. E le complicazioni attorno ad un atleta del genere non mancano, ve lo assicuro. Ma in tutto questo lui è rimasto semplice. È un campione di rara bellezza, forse il ciclista più forte in assoluto degli ultimi 30/40 anni. E non se la tira!

Torniamo un po’ a casa nostra… In Ticino si torna regolarmente a parlare della possibilità di organizzare nuovi grandi eventi legati al ciclismo. Si parla di Mondiali o, appunto, Tour de France. Siamo terra di ciclismo, ma meno terra per ciclisti?

Beh, in Ticino sono stati organizzati 4 Mondiali di ciclismo su strada, uno di Mountain Bike, innumerevoli arrivi di tappa del Tour de Suisse, del Tour de Romandie e del Giro d’Italia. È quindi evidente che c’è consapevolezza del potenziale di visibilità attorno al ciclismo. Dall’altra parte, però, ci si scontra con difficoltà enormi nello sviluppo di una rete ciclabile che renda sicuri gli spostamenti per chi pedala. Basta chiedere conferma a Rocco Cattaneo, da anni al fronte insieme a Provelo su questo tema. Dobbiamo davvero dotarci di spazi per muoverci in bici, soprattutto dopo l’avvento della bici elettrica, perché muoversi nel traffico è diventato troppo rischioso.

Vedere la bici non come passatempo, ma come vero mezzo di trasporto? È questo il cambiamento da fare?

Guardiamo ad esempio a Belgio o Danimarca, che non hanno certo la fortuna di avere il clima del Ticino. La bicicletta è diventata ‘il’ mezzo per andare al lavoro. Sulle brevi distanze ha tantissimi vantaggi: fa risparmiare tempo, fa bene e fa risparmiare anche soldi, pensiamo solo ai costi dei parcheggi nei centri urbani. Ma va capito che la bici è un mezzo per andare al lavoro e non possiamo pensare di avere solo percorsi sterrati. Mi sarei aspettato più decisione nel muoversi in questa direzione, vista la passione per la bicicletta nel cantone.

E il turismo?

Altro capitolo interessante, considerando anche il cambiamento climatico. Pensate che in Trentino e nelle Dolomiti, il turismo estivo legato al ciclismo ha ormai superato quello invernale. Con il nostro clima favorevole, il nostro territorio e le ottime infrastrutture ricettive avremmo un atout fenomenale da giocare.

Chiudiamo con una nota personale. Da ex professionista, Mauro Gianetti è ancora spesso in sella. È solo benessere fisico o anche psicologico?

Cerco di pedalare appena posso. Ne percepisco il bisogno a tutti i livelli. Non faccio più lunghe uscite come prima, ma le faccio regolarmente. Se no poi Rocco Cattaneo mi stacca… e non va bene!