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Ticino, il sogno di una vita perché… la vita è sogno

“Sono profondamente repubblicano e liberale e, proprio per questo, sono uomo libero e non uomo di partito” – Dietro il sorriso di Marco Solari

C’è modo e modo di fare politica. Lui, nell’agone politico normalmente inteso, non ci è mai sceso, ma è sicuramente uno che la politica – intesa come “direzione della vita pubblica” – l’ha sempre vissuta e praticata. Il motivo è da ricercare nel suo bisogno di gettare ponti tra storie e culture differenti, ma anche nel suo favorire interazioni garanti di una crescita. L’ultimo riconoscimento di questa sua instancabile attività è giunto proprio il 14 marzo scorso a Berna dove è stato insignito del Premio “Numeri Uno 2022”, attribuito congiuntamente dalla Camera di Commercio italiana in Svizzera e dall’Ambasciata d’Italia a personalità che “con il loro lavoro e il loro impegno si sono distinte in maniera particolare per rafforzare il rapporto economico e culturale che lega la Svizzera e l’Italia”. La sua storia, la storia della vita di Marco Solari, si trova ora, con quella degli altri nove premiati, nel libro curato da Giangi Cretti “Storie di straordinaria quotidianità fra Svizzera e Italia” (edito dalla Camera di Commercio italiana per la Svizzera - CCIS, 2023). È anche per questo che qui non vi racconteremo la sua storia, ma cercheremo di raccontarvi una persona davvero speciale.

“Avevo deciso di non rilasciare interviste fino all’ufficializzazione della scelta della persona che mi succederà alla presidenza del Festival del film. Sia per rispetto della selezione in corso, sia perché sono un po’ atelofobico. Inoltre di questi tempi, più che sul passato o sul futuro, amo soffermarmi sul presente”.

Non si preoccupi. Non ho intenzione di parlare dei suoi 23 anni quale presidente operativo del Festival di Locarno. Però, sebbene si tratti di futuro prossimo, se mi dice cosa avverrà da qui a maggio 2024…

“Sì, questo glielo dico. Sono previste tre fasi. La prima, pubblica, è fissata per la sera del 12 agosto 2023 quando, per l’ultima volta, saluterò il pubblico di Piazza Grande e proporrò sul maxi schermo il mio film preferito (non mi chieda qual è perché tenterò di tenerlo segreto fino all’ultimo). La seconda fase, amministrativo-contabile, si concluderà invece a fine dicembre perché tutto quello che è attività di quest’anno è parte del consuntivo 2023 del quale sono responsabile. Quindi dal nuovo anno tutte le decisioni che concernono l’edizione 2024 – conti compresi – saranno di competenza del/della nuovo/a presidente che affiancherò con discrezione fino al passaggio ufficiale di consegne previsto per l’assemblea di fine aprile 2024 quando, formalmente, riceverò dall’assemblea scarico dalla mia funzione”.

C’è, nel suo presente, lo spazio per organizzare il futuro?

“No. Meglio: lo spazio ci sarebbe pure, ma faccio parte di quelli che, quando hanno terminato un compito, salutano, chiudono la porta e si ritirano in buon ordine. Sia ben chiaro, ammiro molto persone come Fulvio Pelli, Giovanni Merlini, Filippo Lombardi, Franco Cavalli, Tito Tettamanti o Dick Marty che hanno deciso di continuare ad impegnarsi, in un modo o nell’altro, per la ‘res publica’. Io però… preferisco uscire di scena quando il mio compito è terminato”.

Lo decide lei che il suo compito è giunto al capolinea?

“Lo decidono i fatti della vita. Così, almeno, è successo a me. Quando mi sono trovato a chiudere una porta è perché se n’era aperta un’altra e sempre con la stessa dinamica, la stessa motivazione: ‘Marco, ci sarebbe un problema da risolvere’. È stato così quando, nel 1972, sono stato nominato primo direttore dell’Ente ticinese del turismo (nato proprio in quell’anno). È stato così nel 1988, quando dopo che tutto sembrava destinato a naufragare, Jean Pascal Delamuraz s’impunta a volere che il 700esimo della Confederazione venga sottolineato a dovere. E potrei continuare: dall’incarico, nel 1992, come amministratore delegato della Migros a quello – nel 1997 – di vicepresidente della direzione generale di Ringier, fino al 2000 quando è la volta del Festival del film di Locarno e, a sollecitarmi, è il Governo ticinese in corpore”.

Marco Solari risolutore di problemi. E lei, di problemi, ne ha mai avuti?

“Mi creda, ne ho avuti. Ho però sempre preferito cercare di risolverli trovando soluzioni piuttosto che individuare colpevoli o cercando facili sfoghi verbali. Ciò significa anche tacere quando si vorrebbe parlare, denunciare e, perché no?, urlare – con tanto di prove alla mano - che c’è chi sta mentendo sapendo di mentire”.

È per questo che non è mai entrato in politica?

“No. Non direi. Vede, io sono profondamente repubblicano, addirittura visceralmente antimonarchico e liberale, ma non sono uomo di partito. Il mio essere liberale mi porta ad essere, in primis, un uomo libero. A me piace poter parlare e confrontarmi con tutti: con Matteo Pronzini come con Sergio Morisoli, con Lorenzo Quadri come con Fiorenzo Dadò o con Samantha Burgoin e, ovviamente, con tutti gli amici e le amiche liberali. Vede, a me piacciono le persone che s’impegnano per ciò che reputano importante, indipendentemente dal loro, diciamo così, credo politico”.

E per Marco Solari cos’è importante?

“Il Ticino e la sua crescita. La sua dignità. Il Ticino e il suo essere, sul palcoscenico della storia, attore protagonista e non comparsa. È stata questa, per me, in tutta la mia vita, la cosa più importante. Il Ticino, il luogo d’origine di mio padre, liberale e cattolico, alto funzionario dell’Amministrazione federale che diventava per la nostra famiglia la meta felice delle vacanze estive. Ricordo che da ragazzino vedevo il Ticino come il magico sud: pieno di sole, di cultura, di arte e bellezza. So che ho vissuto la mia gioventù a Berna con la nostalgia del Ticino, un Ticino che non finiva, per me, a Ponte Chiasso, ma continuava verso l’Italia della quale amavo la musica operistica – Verdi, Donizetti e Bellini in particolare -, la letteratura – su tutti Dante -, la storia. Poi, quando sono arrivato in Ticino per lavorarci, mi sono reso conto che avrei dovuto riequilibrare il mito accettando la realtà: il Ticino non solo era periferia, ma era, anche, periferia isolata e, forse anche per questo ancora sovente, litigiosa e ripiegata su se stessa”.

È stato il flash di un attimo?

“No, è stato il monito degli intellettuali come Bianconi, Gilardoni, Snider, Martini o Giovanni Orelli che frequentavo con piacere, ma anche di Ezio Canonica, storico sindacalista che abitava in Valcolla. Una sera del 1972 era rimasto senz’auto e così mi sono offerto di accompagnarlo a casa. Guidando gli racconto dei miei progetti per questo magnifico Ticino. Lui mi ascolta e poi mi dice: “Ferma l’auto e scendi”. Siamo scesi insieme. Era ormai notte inoltrata e, davanti a noi, là in fondo, c’era Lugano con tutte le sue luci. Una meraviglia. Glielo dico e lui mi risponde: “Ricordati che là, sotto quelle luci, ci sono tanto odio, cattiveria e avidità. Non dimenticarlo”.

Lei se n’è dimenticato?

“No. L’ho sperimentato, a volte, direttamente. Ma il mio obiettivo – rafforzare e togliere dall’isolamento il Ticino perché non c’è Svizzera senza il Ticino – ha avuto il sopravvento e in questo senso ho operato”.

Mi viene da dire con successo… Quale il suo segreto?

“Vede, all’università ti insegnano, mi hanno insegnato, a formulare e perseguire strategie, a organizzare strutture. Prima di fare ciò io ho sempre preferito concentrarmi per individuare le persone giuste e questo perché credo molto nel valore delle persone. Forse è per questo che ho avuto, sempre, collaboratori eccezionali: dai tempi dell’Ente ticinese per il turismo al 700mo, dalla Migros alla Ringier al Festival. Proprio al Festival ho avuto modo di conoscere giovani pieni di qualità e voglia d’impegnarsi e il Festival è cresciuto con loro e anche grazie a loro. Poi, senza per questo sembrare sentimentale, il mio grande segreto è mia moglie Michela. Se sono riuscito a realizzare il mio sogno – un Ticino consapevole di avere un ruolo nel cuore del continente europeo – lo devo a questa donna che è stata al mio fianco sempre, con pragmatismo, disponibilità e amore”.

Marco Solari lei, che ha unito Nord e Sud ed ha incontrato i potenti della terra, è uomo di potere?

“Le racconto un episodio di vita vissuta. Ricorderà che, nel 2013, a Locarno fu proposto il film “Sangue”. Per meccanismi collaudati, alla proiezione, vengono invitati registi, produttori, ecc. Ricevono i biglietti che poi distribuiscono. Bref: uno di questi biglietti viene inviato, all’insaputa del Festival, anche a Giovanni Senzani, ex-brigatista, che si presenta. E fu caos. Fu scandalo. Scandalo vero che raggiunse le vette istituzionali più alte. Il 15 agosto 2013, su “Il fatto quotidiano” a prendere la parola è lo stesso procuratore che condusse le indagini sull’omicidio Peci, quello compiuto da Senzani: il procuratore della Repubblica Gian Carlo Caselli. Lui non usa mezzi termini per esprimere la propria indignazione: nei confronti di Senzani, ma anche nei confronti del Festival di Locarno, “alla ricerca di facile pubblicità con l’ospitata di un killer”. Fortunatamente riesco ad ottenere un’udienza telefonica con il procuratore Caselli grazie a Carla Del Ponte che lo conosceva bene. Mi concede 10 minuti che si trasformeranno in una conversazione di mezz’ora. Alla fine mi dice: “Va bene Solari. La nostra conversazione è finita. L’ho impostata come un interrogatorio. Lei è riuscito a dimostrarmi la buona fede del Festival anche perché sento dalla sua voce che lei è sincero. Il caso è chiuso”. Dal 18 agosto, sui giornali italiani, non ci fu più un solo articolo su questo fatto. Questo è il vero potere”.

Touchée. Ma questi “episodi di vita vissuta” non pensa valga la pena raccontarli?

“Va bene. Anche se sono entrato nella fase del silenzio (e lo dice con uno dei suoi meravigliosi sorrisi, ndr) perché, come le ho spiegato, in questa fase di transizione da una vita all’altra non vorrei più guardare indietro, sto pensando, come ultimo atto, di scrivere un libro, ma in tedesco (Marco Solari è perfettamente bilingue, ndr). Un libro dove vorrei spiegare al lettore di oltre San Gottardo il Ticino e la sua crescita, perché è importante che questo Ticino possa continuare ad essere, all’interno della Svizzera, quel ponte di creatività e interrelazioni tra Nord e Sud che è riuscito a diventare”.

 

Foto ©Locarno Film Festival